Il nuovo piano dell’arena del Colosseo
2021
consulente per l’architettura
committente:
Invitalia
Ministero per i Beni e le Attività culturali
Parco Archeologico del Colosseo
capogruppo:
Studio Amati
progetto architettonico:
Orazio Carpenzano [coordinatore]
studio.dismisura
con
Gruppo JADL
Andrea Parisella
aspetti di restauro e conservazione:
Mediterranea Engineering s.r.l.
Susanna Sarmati Conservazione e Restauro
impianti e sistemi di monitoraggio:
SRP Engineering s.r.l.
consulenti:
Clementina Panella [archeologia]
Giorgio Monti [strutture]
Marco Vailati [strutture]
Mario Nanni – viabizzuno [luce]
La proposta tecnologica si avvale di un sistema di azionamento automatico lungo un binario anulare, che consente di svelare, nella sua apertura, una vasta porzione di ipogei. Tale struttura, priva di elementi di appoggio intermedi, non interferisce con il paesaggio dell’area sottostante.
La relazione tra architettura e cinematismo, che ha origini molto antiche ed è un tratto saliente del Colosseo, garantisce anche una grande flessibilità d’uso per le future esigenze di fruizione del piano. Come nel caso del Teatro Totale di Gropius e Piscator, il campo della rappresentazione può coinvolgere l’intero recinto dell’Anfiteatro in questa azione performativa. La scena suggerisce forme flessibili e omnicomprensive, organiche e naturali ma anche totalmente artificiose e tecnologiche.
C’è un dentro e un fuori della membrana: dal grado zero di puro piano di calpestio, attraverso il movimento di apertura, le due regioni topologiche trovano un punto di scambio. La membrana dell’oculus ritaglia l’universo visivo e costringe ad una visione conoscitiva e consapevole, attirando lo sguardo verso le viscere del monumento. Si tratta di una teatralizzazione dell’intera realtà machiniste dell’Anfiteatro che non dimentica l’uomo tra le variabili della scena, per l’acquisizione di una nuova configurazione artistica della rovina.
In uno scambio di icone, che vanno dal teatro meccanico all’occhio di Lédoux, il taglio del piano suggerisce il movimento dello sguardo critico sul corpo disarticolato della Storia, pronto a ricomporsi in un nuovo organismo che guarda al futuro: l’esperienza perduta da rimettere in gioco.
La struttura del nuovo piano dell’arena è quindi spazio topografico, campo di relazione. La superficie lignea di calpestio cela un dispositivo ad altissimo contenuto tecnologico, un habitus dove gli apparati luministici, gli impianti per il controllo climatico e quelli meccanici che consentono la riconfigurazione dello spazio, vengono accolti assicurandone la perfetta coabitazione con le archeologie sottostanti. Questa facies interna dell’ovale assume un valore estetico autonomo che ne esalta il carattere macchinistico, alludendo al complesso sistema di tecnologie che nell’antichità abitavano lo spazio della movimentazione scenica. La tensione qui si esprime nel confronto diacronico con la materia muraria dei resti, in origine cosparsa dalla sabbia gialla delle cave di Monte Mario.
All’esterno si passa dallo spazio tridimensionale a quello bidimensionale, attraverso una curvatura continua dall’andatura lenticolare. In questa ambivalente dimensione della materia e della forma, il progetto assume più dimensioni di senso: una intervisibilità capace di attivare forti risonanze tra fuori e dentro, ed una spazialità analitica che esprime corrispondenze e sconnessioni tra le parti costitutive del campo percettivo. Una spazialità semantica, evocativa delle stratigrafie e delle storie che si scrivono nel luogo, comprese le tracce materiali e immateriali dei corpi di tutti gli uomini che lo hanno abitato. Uno spazio in bilico, che affonda la propria immagine in quei segni, riferibili alla sua Storia, dove si dissolvono racconto e leggenda, profondità e superficie, rischio e sicurezza, antichi miti e nuovi riti.
La superficie resta un’unica regione, il cui confine è inciso nella forma dell’arena: un campo statico ma tensivo e deformato, che consente allo spazio di descrivere le sue mutazioni. La forza centrifuga del piano convesso compensa la perentoria attrazione centripeta e autoreferente dell’impianto geometrico dell’Anfiteatro. Due grandi incisioni abitano la superficie: il cerchio traforato dello scudo apribile e l’impronta, accennata da una sola linea, dell’ardito progetto di Carlo Fontana per la Chiesa dei Martiri, rendono ambigua e polisemica la dimensione euclidea dell’ovale. Le due grandi tracce ritrovano, nella memoria della loro posizione originaria, la dimensione della Storia, che rende compresenti i tempi delle realtà materiali e di quelle immaginate.